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Rossinian Dreams

Dal pianoforte al pianoforte

Che un’opera, che la partitura di un melodramma nasca al pianoforte per essere poi orchestrata dall’autore ed approdare in teatro è cosa perfino ovvia: dalle idee musicali originali fissate su una tastiera dalle possibilità polifoniche si passa poi a un ulteriore sviluppo, frutto del genio creativo e delle capacità di creare quei timbri, quei “colori” che delizieranno poi gli appassionati in teatro. È anche ovvio che siano i temi più significativi di un melodramma a rimanere nella memoria, nell’apprezzamento affettuoso dei molti, anche se la riproposta di un’opera negli anni successivi alle sue prime rappresentazioni rimane un privilegio che soltanto alcuni lavori, quelli destinati all’Olimpo dei capolavori, possono pretendere. Bene, e per tutte le altre opere? Semplicemente nel passato si passava ad altro: grazie alla grandissima fortuna del genere del melodramma e con a disposizione una vera e propria schiera di ottimi compositori che vi si dedicavano, altri lavori che prendevano il posto dei precedenti e tante opere che pure avevano entusiasmato platee e palchi in teatro passavano via via nel dimenticatoio, destinate ad essere ricordate prima da pochi, poi da pochissimi e infine ad essere menzionate solo in manuali di storia della musica o nei registri dei teatri.

Con qualche eccezione però, dovuta ad altri musicisti, colpiti dalla bellezza di alcuni temi ascoltati in teatro e che li hanno presi come punto di partenza, come spunto riconoscibile per alcune loro Variazioni, fissate sulla carta da musica… nuovamente quasi sempre al pianoforte, in un loro ritorno all’insegna della bellezza e del virtuosismo. Riportare attraverso il pianoforte gli echi di un’opera attraverso brani destinati a intrattenimenti privati, davanti a un pubblico musicalmente colto e agiato costituiva una pratica diffusissima in tutta Europa e furono schiere e schiere di pianisti che si dedicarono a questa particolare pratica, quella della trascrizione che spesso ha rivelato anche un talento musicale precoce o precocissimo.

E questo è sicuramente il caso di Franz Liszt, avviato dal padre lo avvia alla musica e che si trasferisce a Vienna quando il ragazzo ha dodici anni e dove studia composizione con Antonio Salieri e pianoforte con Carl Czerny, e poi a Parigi con Ferdinando Paër. Fu certo così, grazie alle letture musicali con i suoi maestri e le frequentazioni del teatro che nacque l’idea di comporre una serie di Variazioni su un tema di un’opera italiana, l’Ermione scritta da Gioacchino Rossini nel 1819 per il Teatro San Carlo di Napoli, su libretto di Andrea Leone Tottola. Una vicenda tragica basata sull’Andromaque di Racine, a sua volta tratta dall’Andromaca di Euripide. Non fu un successo, tutt’altro, anche perché il pubblico napoletano aveva una preferenza evidente per gl’intrecci comici. Ma evidentemente il giovanissimo Liszt poté avvicinarsi alla partitura e s’imbatté così nella Scena Terza del Primo Atto dell’opera, in cui Oreste si avanza fuori di sé. Pilade procura calmarlo. Dopo l’agitato Recitativo Reggia aborrita! oh quanto l’aspetto tuo mi affanna! ecco che Oreste prorompe nell’Aria Ah! come nascondere/La fiamma vorace/Se in petto quest’anima/Smarrita ha la pace?/Se Amor mi fa vittima/Di un crudo poter?

È proprio questo tema che il piccolo Liszt – che all’epoca aveva poco più di dieci anni – mette alla base delle sue Sept Variations Brillantes R 28 SW 149 dedicate a Cécile Panckoucke, il cui ritratto di Jean-Auguste-Dominique Ingres è esposto al Louvre. Dopo l’Allegretto dell’Introduzione ecco il Tema seguito da Variazioni dal tono brillante: la prima si conclude con una velocissima scala cromatica discendente in semibiscrome, le due successive insistono sugli accordi del Tema originale. Naturalmente le difficoltà tecniche al pianoforte si fanno via via sempre maggiori, la sesta Variazione è una vivace Polonaise e la settima, Brillante con forza, precipita verso il grave con velocissime scale.

Immediatamente successivo alle Sept Variations Brillantes è l’Improvviso Brillante su temi di Rossini e Spontini op. 3 per il quale Liszt attinge a quattro temi di altrettante opere italiane, per prime due di Rossini con La Donna del Lago e l’Armida, poi l’Olympie e il Fernand Cortez (La conquista del Messico) di Gaspare Spontini. L’Improvviso di apre con un’ampia Introduzione che alterna il Largo all’Allegro prima di giungere al primo Tema rossiniano, quello della Donna del Lago che passa tra alcune Variazioni e un richiamo al ritmico tema iniziale prima di presentare il secondo Tema, quello di un duetto dall’Armida rossiniana. Naturalmente il giovanissimo Liszt, scegliendo la forma dell’Improvviso, si concede un’ampia libertà nel trattare i temi operistici, proponendo figurazioni tipicamente pianistiche avendo cura però di conservare una perfetta riconoscibilità del materiale operistico originale: come nell’Andante religioso del Coro dell’Olympie di Gaspare Spontini, un’opera che tra l’altro è posteriore a quel Fernand Cortez che fu un grandioso successo per questo operista italiano. Olympie è basata sull’omonima tragedia di Voltaire e ha per argomento l’uccisione – leggendaria – di Alessandro Magno ed ebbe un esito non proprio fortunato, ma non per demeriti artistici: dopo le prime apprezzate repliche del 1819 all’Opéra di Parigi ecco un funesto avvenimento, l’assassinio del Duca di Berry – secondo figlio di Carlo X, pugnalato sulla via da un sellaio antimonarchico nel febbraio del 1820 a Parigi. L’opera di Gaspare Spontini fu così sospesa e venne riproposta soltanto anni dopo, ma nel frattempo proprio Gioacchino Rossini s’era guadagnato una fama tale da oscurare molti altri autori. Tornando all’Improvviso Brillante op. 3 Liszt arriva all’ultimo tema del suo brano citando un “guerresco” tema da quel Fernand Cortez (La conquista del Messico) che come ricordavamo fu una delle opere precedenti del compositore d’origine marchigiana e che nel 1809 gli aveva dato nuova e incontrastata fama due anni dopo un’altra sua tragédie lyrique, quella de La Vestale. E nel tema citato da Liszt nel suo Improvviso Brillante op. 3 appare uno quello che evoca in modo inequivocabile, col suo Allegro, l’avanzare dei conquistadores spagnoli. Il brano si conclude con la breve riesposizione dei temi precedenti e con una serie di volatine in semicrome, tipiche dell’agile pianismo lisztiano.

Con la trascrizione pianistica del Cujus animam dallo Stabat Mater di Gioacchino Rossini andiamo a quasi un ventennio dopo, rispetto ai primissimi lavori del piccolo Liszt, quelli del 1924. Lo Stabat Mater infatti aveva visto la luce nel 1942 a Parigi con alcune delle più acclamate voci dell’epoca, quelle di Giulia Grisi, Emma Albertazzi, Giovanni Matteo De Candia ed Antonio Tamburini. Lo Stabat Mater aveva avuto una vicenda tormentata a partire dalla sua nascita, insistentemente richiesta al compositore da Manuel Fernàndez Varela, prelato spagnolo che immaginava una “versione rossiniana” del capolavoro di Pergolesi. Inutile dire che la sensibilità di Rossini era totalmente diversa, ma il Pesarese volle ugualmente omaggiare il religioso di una partitura che, chiese, non venisse pubblicata e rimanesse quindi un “omaggio privato”. Lo Stabat Mater, passato nelle mani di un musicista di pochi scrupoli come Giovanni Tadolini che lo completò rimaneggiandolo, venne eseguito in questa versione sconciata e fu solo vari anni dopo che Rossini ne autorizzò la pubblicazione per i tipi musicali dell’editore Troupenas, non senza aver riveduto profondamente il manoscritto originale. Il risultato è lo Stabat Mater come lo conosciamo oggi e dal quale Franz Liszt sceglie di trascrivere per il pianoforte il secondo dei dieci numeri che lo compongono, l’Aria del tenore Cujus animam gementem. Nella versione pianistica mantiene sì il carattere drammatico ma dà anche un particolare risalto all’elemento ritmico ricorrente che attraversa tutta, fino alle ultime battute, la pagina pianistica in cui vengono sottolineati con cura anche tutti i passaggi modulanti che hanno reso famoso questo brano rossiniano.

Anche le pagine di Rossini dedicate alle tre Virtù Teologali, delle quali fa parte La Charité, risalgono all’ultimo periodo della vita di Rossini: pubblicati nel 1844 a Parigi erano cori religiosi destinati a voci femminili accompagnate al pianoforte e il testo de La Charité è di Louise Colette. La trascrizione lisztiana mantiene il carattere sereno e delicato dell’originale abbondando negli arpeggiati senza rinunciare naturalmente anche a delicati abbellimenti nelle varie riprese del tema principale, spostando più volte la melodia al basso. Un clima pensoso ma sereno, certo con un pensiero al testo cantato nell’originale, che nella traduzione italiana termina con i versi L’ira, l’orgoglio fian vinti allor/da un sacro vincolo d’eterno amor.

La versione pianistica dell’Ouverture de La Gazza ladra di Rossini – rappresentata pochi anni prima delle giovanilissime Variazioni di Liszt – non è de genio ungherese ma si colloca nella fortunatissima pratica delle trascrizioni al pianoforte di brani ma anche d’intere opere italiane, certo per studio ma anche per quei “concerti riservati” così apprezzati in tutto l’Ottocento. Qui il pianoforte è impegnato a rendere il più possibile gli effetti della partitura, dal tamburino iniziale ai crescendo orchestrali, fino alle vere e proprie esplosioni tipiche dello stile rossiniano, passando da un tema all’altro che senza dubbio l’appassionato attende. Ma non dimentichiamo che l’Ouverture, nel suo rutilante andamento, riflette anche i momenti più drammatici dell’opera di Rossini: il ritmo di tamburo evocato all’inizio del brano dal pianoforte e poi ripreso allude al tema della giustizia, anzi dell’ingiustizia nei confronti della povera Ninetta falsamente accusata di furto e che rischia il patibolo. Ma è straordinario come questo brano, anche nella versione pianistica, riesca a comunicare una tale vitalità che è quasi inevitabile dimenticare i risvolti drammatici della vicenda narrata da Rossini: rimane un modello insuperato di Ouverture, dove la qualità straordinaria dei suoi temi emerge superbamente anche nella sua “restituzione” al pianoforte.

Luigi Fertonani

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